Leggere attentamente


ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale, se qualcuno dovesse riconoscersi in tilla papilla bullo ti sbullo o sullo catullo o, riconoscere qualcun'altro, probabilmente è affetto da una forma degenerativa della coscienza, malattia che ancora non ha nome e chissà se mai lo avrà, e semmai dovesse averlo si correrebbe il rischio che qualcun'altro potrebbe riconoscersi nel nome di quella malattia, comunque, ritornando a questa forma degenerativa si consiglia agli affetti da tal malanno una buona dose di cazzi propri, da farsi naturalmente

martedì 11 settembre 2012

Walking away

Tre anni fa ho scritto un post nel quale inventavo una lettera di addio di un suicida.
Ho cercato d'immaginare le parole e i sentimenti che pervadono qualcuno che ha impresso il proprio destino nella sicurezza del non domani.
A distanza di tre anni è ancora uno dei post più letti.
E non lo dico con sicumera, semmai con tristezza.
Ho sempre pensato che il suicidio fosse un mezzo comodo per togliersi di dosso le responsabilità per cercare  un punto di non ritorno, un momento del quale non c'è tempo di pentirsi.
L'ho sempre immaginato come spegnere la televisione: prima scorrono immagini e subito dopo il nulla. 
Qualcosa  porta a non avere più la forza di reagire ed invece di rivendicare ai responsabili il diritto ad una vita migliore, viene chiesto perdono, oppure viene lasciato in eredità il silenzio, insieme alle domande sospese di coloro che  hanno ruotato intorno alla vita di questi individui. 
Ancora oggi dopo 19 anni, rimugino sulla mia impotenza, mi chiedo se avrei potuto fare qualcosa, una qualunque cosa per aiutare un amico che soffriva palesemente. 

Cercare delle risposte potrebbe dare sollievo, ma da un punto di vista meramente razionale, temo non esista.
Non ci sono colpevoli e/o responsabili.
Entrare nella visione d'insieme di chi prospetta o arriva a togliersi la vita è impossibile per chi quella stessa vita la vive. 

Ognuno reagisce a suo modo.
C'è chi combatte e chi si arrende.
Probabilmente è anche una questione caratteriale.
Le persone forti combattono e non si danno per vinte di fronte a nulla, neppure le cose più terribili.
Quelle deboli soccombono sotto il peso dei problemi.
Ciononostante, dire di qualcuno che era depresso per giustificare a sè stessi l'egoismo e le proprie incapacità, è troppo, veramente troppo semplice. 

22 commenti:

  1. La sorella di una mia amica si suicidò qualche anno fa. Viveva con la madre, separata dal padre. Al funerale il padre fece un discorso di merda, dando la colpa a noi amici che non ci eravamo accorti di quanto soffrisse. Ho ancora il discorso, perchè ce lo diede sotto forma di pergamena. Io ti giuro che tutto sembrava, tranne che una persona triste e sull'orlo del baratro. Non è così facile aiutare chi non vuole essere aiutato. Non fosse stato comunque che eravamo al funerale, e che sicuramente quel discorso era stato scritto in un momento di sofferenza, ti giuro che lo avrei preso a sberle.

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    1. Hai perfettamente ragione.
      Se non si riconosce pubblicamente il proprio disagio è praticamente impossibile rendersi conto di quello che una persona sta vivendo.

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  2. Per fare la finita ci vogliono un coraggio ed una lucidità rari. Certe vite vanno finite (certe, ho detto certe) perché non hanno senso d'esistere, non l'hanno mai avuto, continuare è come strascicare un animale già morto ad un guinzaglio floscio. Ma in pochi hanno la dignità di dire "smetto di portare avanti questa vita che ormai è solo parassitismo e me ne vado con dignità, con le mie mani"!
    Ogni vita va vissuta, per me è una baggianata, il fatto è che nessuno vuole morire veramente e allora si cercano scuse per starsene al mondo un altro po' ad occupare un posto a sbafo. Forti, deboli... ma che significa?
    Io credo ci sia solo gente che si prende o meno la responsabilità di porre fine alla propria esistenza come atto di volontà, e poi c'è gente che pur essendo già morti aspettano...

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    1. Concordo sul coraggio e la lucidità, non sul fatto che certe vite vadano finite.
      Qual è il senso che determina chi e perchè uno debba vivere?
      Chi lo stabilisce?
      Quali sono i canoni?
      Ne parli come se fosse un dovere e non una scelta obbligata.

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    2. È un obbligo per se stessi! Solo verso se stessi e basta!
      In molti sanno d'essere morti già... da tempo. E non basterà iscriversi in palestra o farsi l'amante per "andare avanti", c'è l'obbligo verso se stessi di dire è finita, me ne vado! Restare per constatare giorno dopo giorno d'aver esaurito il tempo è da vigliacchi.
      Sì io credo che la vita finisca, spesso, prima della morte fisica. Delle volte, in certi casi, sta a noi far coincidere le cose, abbiamo la volontà, non abbiamo scelto di vivere, possiamo scegliere come e quando andarcene, è civiltà!
      A parer mio, mia cara.

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    3. Non fa niente! Still love you :D

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  3. Concordo con Chiara, il mio compagno ha fatto una scelta e io l'ho potuta solo accettare..ha scelto di veivere non vivendo più.Era una persona brillante e intelligente, forse gli "ignoranti" vivono meglio.

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    1. Forse l'ignoranza ti salvaguarda dalla profondità della conoscenza.
      O, forse, la sua scelta presupponeva una miglior vita.
      Chi resta è costretto ad accettare.

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    2. Sinceramente io penso che la scelta di privarsi della vita sia qualcosa di profondamente personale. Non starei neanche a discutere eticamente sulla scelta. Se non che si tratta di una forma distorta di egoismo o di affermazione di una libertà che non si riesce a trovare nella quotidianità.
      E' chiaro che alla base c'è o un livello di disperazione o un baratro di incomunicabilità tale che diventa estremamente difficile captare i sintomi o prevenire l'accaduto. Capisco la sensazione d'impotenza di chi pensa che avrebbe potuto fare di più o qualcosa di diverso per non far scattare quella molla, ma credo che sia una scelta coraggiosa solo nella modalità di termine ed allo stesso tempo profondamente vigliacca di fronte alla vita.
      Poi, non tutti reagiamo nella stessa maniera di fronte alle avversità o alla depressione o al vuoto esistenziale o alla malattia. Certo è che se è una scelta, come tale va rispettata, magari non condivisa, ma rispettata.

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    3. E' esattamente il mio pensiero.
      Punto più punto meno.

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  4. Perché non scrivi un post che sia una sorta di contrario a quello sul suicidio? Intendo: immaginare una sorta suicidio al contrario.

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    1. Una ri-nascita intendi?
      Altrimenti mica ho capito.

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    2. No, credo sia qualcosa di un po' diverso, però se riuscissi ad immaginarlo chiaramente mica l'avrei chiesto a te di scriverci un post, no? :)

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  5. Il trito alibi della depressione altrui come giustificazione -a tragedia avvenuta- è davvero di una semplicità ripugnante, oltre a essere meschino e miserabile (più o meno è come essere assassini senza nemmeno aver dovuto fare la fatica di sporcarsi le mani direttamente)...non sappiamo davvero fino in fondo quante e quali battaglie ha dovuto affrontare -e in quali condizioni estreme, molto probabilmente- una persona prima di compiere il gesto estremo, né quante volte le sue richieste di aiuto siano state ignorate (o fraintese). Di conseguenza ogni "accusa" di aver abbandonato la lotta è totalmente priva di senso, per me...e nemmeno mi interessa considerarmi più forte di quella persona (a che servirebbe, poi? e a chi?).

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    1. La depressione non è un alibi. E' qualcosa che per definizione lascia gli altri fuori dalla porta. E quando sei dai solo con la porta ben chiusa a chiave,con in tasca le tue paure, la tua disperazione, o semplicemente la totale assenza di stimolo a mettere assieme un altro respiro, e la tua incapacità (bada bene non ignoranza,ma incapacità) di affrontare tutte queste cose, se hai ancora un pezzettino del tuo fottuto istinto di conservazione, guardi con indifferenza ciò che accade fuori dalla finestra, riapri la porta e passo dopo passo ricominci a sopravvivere. Fino alla prossima volta.
      Se hai finito la scorta, devi solo sperare che la finestra non si apra. Togliersi la vita è una scelta personale fatta contro se stessi e spesso nella speranza di non essere un peso per gli altri. Non significa essere più forti o più deboli. Significa solo essere egoisti. E' illusorio pensare che si possa sempre far qualcosa per evitare quel gesto. E soprattutto è una sopravalutazione della nostra capacità di leggere nell'animo umano. Che poi molti suicidi lascino ampi indizi con loscopo di essere salvati, siamo d'accordo. Ma è un campo diverso. Si tratta di una maniera estrema di attirare l'attenzione:ed allora solo in quel caso ci si può colpevolizzare per nona ver notato i "segni". C'è anche da dire che in casi come questi nella maggior parte dei casi, il suicidio non viene messo in atto.

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    2. Non fraintendermi, Lidermax...non non ho mai voluto far intendere che si possa sempre fare qualcosa per ogni "tipologia" di suicidio, ma soltanto che credo non sempre si faccia tutto il possibile per evitarlo (nessuna sopravvalutazione della soggettiva capacità di leggere dentro l'animo di chicchessia, ci mancherebbe) che è una cosa alquanto differente, così come non credo che la depressione -per quanto pesante possa essere- tenga automaticamente ogni volta chiunque altro fuori dalla porta (o che il suicidio si riduca ad egoistica scelta, il che implicherebbe attribuire al gesto in sè una logica che potrebbe anche non esservi affatto, perlomeno non come la intendiamo noi con l'istinto di sopravvivenza ben vigile). Può anche essere che a nessuno -cinicamente- freghi di entrare da quella porta, impedendo così il crearsi di quella magari impercettibile differenza che potrebbe ribaltare la situazione dandoti un po' di quel carburante che avevi esaurito, giusto quel che serve a uscire di lì, nessuna soluzione "miracolosa"...FORSE non cambierebbe nulla, è vero, FORSE d'altra parte qualcuno si potrebbe salvare (evitando così di sparare cazzate a posteriori sulla falsariga del "non dovevamo lasciarlo solo/a", altro bel leit-motiv da alternare al "soffriva di forte depressione"), tutto qui. Niente di più e niente di meno.

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    3. Mi guardo bene dal fraintenderti, ma dopo la terza rilettura, in tutta sincerità non proprio capito dove vuoi andare a parare. L'unica cosa che ho capito è che quando uno si suicida, per tutti quelli intorno non è valida la scusa "ah ma io non sapevo e comunque non c'era nulla da fare".

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    4. mi sembra che stiate dicendo con parole diverse, la stessa cosa...

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  6. a maggio di quest'anno un collega mio amico s'è tolto la vita.
    aveva avuto dei problemi e a testimonianza gli era rimasto un occhio rovinato forse per sempre...
    non sembrava sofferente al punto di fare quel gesto cosi tremendo di togliersi la vita... non sembrava.
    anch'io, ancora adesso, mi chiedo cosa avrei potuto fare.
    forse perchè non ho gravi problemi non riesco a vederla come la soluzione del problema... sarà anche perchè ho già paura di morire di mio.

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    1. Non avresti potuto fare nulla.
      Nessuno può fare nulla.

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