Forse è meglio che spieghi un po' di cose, tipo perchè mai, io donnino di quasi mezz'età, detesti cucinare, visto l'andazzo che ha preso il post precedente.
Nella mia prima vita, quello che era l'allora mio sposo, e dati i fatti ancora mi chiedo per quale motivo siamo giunti a fare quel passo, sentenziava su ogni cosa facessi.
La spesa non la sapevo fare, la casa non la sapevo tenere in ordine, più altre varie ed eventuali sempre precedute dal non.
Nel periodo della maternità, mi vidi costretta a fare la casalinga a tempo pieno e, dovendo occupare appunto tutto il tempo, cercavo di dedicarmi, oltre che alla figlia, a rendere a tutti loro la vita più soave.
Tranne la mia, probabilmente.
Così, armata di libri di cucina, ogni giorno preparavo un piatto diverso o un dolce.
E mi piaceva.
Ma come per tutto il resto, anche il mio modo di cucinare non era all'altezza.
Tutta la mia buona volontà veniva sconfitta da una sentenza a prescindere, il gusto di farmi sentire comunque inferiore, di fatto condizionava la possibilità di continuare ad esprimermi.
Quando decisi che ne avevo avuto abbastanza e lasciai la casa coniugale, lasciai altresì le mie velleità di cuoca, di cameriera, di donna delle pulizie, di geisha, stabilendo che nella mia prossima vita, avrei fatto lo stretto indispensabile, giusto gesti di sopravvivenza.
Ora, ci sono momenti in cui mi piacerebbe riprovare a esprimermi in cucina, ma c'è una forza interiore che me lo impedisce e che nel reale si traduce con la giustificazione che manca la materia prima per l'ottenimento del manufatto.
Chessò, mi prende la voglia di fare una torta, sicuramente manca la farina.
Vorrei fare il polpettone, manca tutto il necessario.
Che, voglio dire, basterebbe comprarlo.
Ma poi, come fare a motivare il fatto di non averlo fatto?