Leggere attentamente


ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale, se qualcuno dovesse riconoscersi in tilla papilla bullo ti sbullo o sullo catullo o, riconoscere qualcun'altro, probabilmente è affetto da una forma degenerativa della coscienza, malattia che ancora non ha nome e chissà se mai lo avrà, e semmai dovesse averlo si correrebbe il rischio che qualcun'altro potrebbe riconoscersi nel nome di quella malattia, comunque, ritornando a questa forma degenerativa si consiglia agli affetti da tal malanno una buona dose di cazzi propri, da farsi naturalmente

martedì 28 febbraio 2012

Behind blue eyes

Ogni volta in cui era obbligata a fermarsi ai semafori, era solita gettare lo sguardo nei negozi, cercare di capire se ci fossero avventori, se la crisi avesse risparmiato il pizzaiolo, o il gioielliere.
Tutti vuoti, magari era solo una questione di orario troppo presto o troppo tardi.
La cintura di sicurezza le dava fastidio ed era solita spostarla frequentemente.
Ogni cosa che premesse all'altezza del cuore era fonte di sofferenza.
Quando arrivava a casa, la prima liberazione che si concedeva era quella di slacciarsi il reggiseno e fare un lungo respiro.
C'erano giorni buoni e giorni meno buoni ma non poteva prevederli, si limitava a viverli così come venivano.
Il giorno facile era quello nato bene, pieno di buon umore portato avanti senza fretta, senza interruzioni, giorni durante i quali il fisico rispondeva bene agli approcci e alle sollecitazioni e non lasciava che la psiche lo prevaricasse.
I giorni difficili erano faticosi e, nonostante maturassero lo stesso numero di ore di quegli altri, sembravano non avere fine.
Aveva imparato a  mettere in contenimento preventivo i pensieri peggiori.
Il segreto stava nel riuscire a non cedere, a tenere duro quel tanto che bastava perchè quel momento passasse, lasciando il passo al prossimo.
Una battaglia che poteva durare ore o istanti.
Si conosceva abbastanza per arrivare a ridere di sè  quando l'esagerazione amplificava i sensi e l'esperienza la portò a contenere lo sforzo per decodificare il  malessere.
Aveva bisogno di trovare stimoli che andassero oltre la mera sopravvivenza.
Del resto, ogni persona che viva un problema pensa di avere l'esclusiva e di essere all'apice della propria scala della gravità.
Pensò pertanto,  che il suo avesse bisogno di una svolta.
Ma dire non è fare.
Non viveva mica la trama di una commedia, avrebbe dovuto metterci del suo, cercare, smettere di stare appollaiata nell'antro della sua indolenza.
Sacrificarsi autoalimentando l'intenzione, senza scuse, sforzarsi di vivere e smettere di sopravvivere.
E forse, le occasioni sarebbero arrivate.
Non  le restava altro che cercarle.


20 commenti:

  1. Non immagini nemmeno quanto mi immedesimo. Vivere e non sopravvivere, svolta, cercare le occasioni... coraggio! (È lo stesso augurio che faccio a me).

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    1. Come diceva Elio tra il dire e il fare c'è di mezzo "e il"
      Un abbraccio.

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    1. certo che non lo è.
      Se lo fosse avremmo tutti molte meno paranoie!

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    2. lo so che è una domanda sciocca ma...
      è autobiografica?

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    3. Si nel senso che non sono nel periodo migliore della vita mia, no nel senso che non è di me direttamente che parlo.
      E' un miscuglio di sensazioni che potrebbe vivere chiunque...

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    4. già, è vero...
      tranne per me togliere il reggiseno ci sono anch'io.

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    5. Non è facile per niente, anche perchè capita che a volte scuse e indolenza siano interpretazioni fallate dei nostri atteggiamenti da parte di chi VERI problemi non ne ha mai avuti sparando qualunquistiche perle del tipo "tutti hanno problemi, chi grandi chi piccoli" fottendosene alla grande di chi ha davanti e delle sue reali intenzioni, per cui si deve lottare anche contro stupidi pregiudizi...ci son problemi che grandi dovrebbero essere considerati a prescindere dalla propria scala di valori personale o dal relativizzare sempre e comunque, se riguardano gli affetti (o anche la loro assenza), le amicizie (idem), il lavoro (pure, se non sei miliardario di tuo), la salute (come sopra) e purtroppo oggi vige la cultura della rimozione del problema, che porta chi ce l'ha a pensare di averlo in "esclusiva" come fosse una colpa, un qualcosa da nascondere a tutti i costi.
      Altre volte i fraintendimemti vengono da gente ferita che ha sì tirato fuori le palle ma si è autoconvinta di averlo fatto nell'unico modo giusto tanto da dimenticarsi che se non tutti reagiamo in "quel" modo non è certo -di sicuro non solo- per mancanza di attributi, quindi anche in questo caso c'è il rischio che scuse e indolenza stiano più nell'occhio di chi guarda che altro, perchè a nessuno piace sopravvivere e basta, lo ammettesse o meno con sè stesso...e non sempre non si ha perchè non si cerca (magari fosse così), anche se a pancia piena fare la morale del cazzo riesce una meraviglia...vabbè dai, dopo la filippica arriviamo al punto Amore, hai una tessera anche per me? :)

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    6. Tutto vero, anche se mi pare sia un discorso assolutamente razionale.
      Perchè il problema personale, al di là della gravità che lo contraddistingue, fagocita le capacità di discernimento.
      Chiaro che ci sono problemi reali e gravissimi, ma se non ti appartengono, non riesci a vederli tali neppure volendo.
      Puoi pensare che lo siano, ma non riescono di fatto, a toccarti.

      Certo che c'è.
      Ho predisposto pure il timbrino e per i più audaci, il tatuaggino!

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    7. Mi piace il tatuaggino :) E comunque hai ragione, a un problema non vissuto al massimo ci si può avvicinare con rispetto, ma certo non lo si potrà mai sentire "nostro"...

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    8. Bene, allora preparo aghetti e inchiostro!

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  3. Sono assolutamente sensazioni che potrebbe vivere chiunque, per questo ci si immedesima così tanto. Questo suggerisce anche altro però ... non si è soli.
    Davvero bello leggerti
    Yin

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    1. Sempre un piacere averti (avervi) da queste parti.
      Mi siete mancati.

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  4. Approvo, Amour. Ogni singola parola. Le ultime sei sono la parte più difficile. Ma saperlo è già aver cominciato la ricerca. Nella quale non sei sola. Non se dipende da me.

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    1. Tu sei il mio amico fidato, tu sei mio fratello, quello bello, quello col quale si può parlare di tutto perchè non ti giudicherà e saprà darti i consigli giusti, anche se non li seguirai.
      Ti voglio bene.

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